Gremita la Sala Ipogea della Mediateca Montanari. Venerdì 11 ottobre 2019 si è svolta la prima giornata del Premio, che ha visto grande partecipazione di pubblico.
Ha aperto gli incontri Giovanna Granato, traduttrice de La casa dei nomi di Colm Toibin, che ha dialogato con Greta Gaspari. Il romanzo è pervaso dalla mitologia greca che si interseca con la mitologia irlandese e la storia dell’Irlanda del XX secolo e si ricollega ai temi attuali dei legami familiari e della follia legata alla violenza. Giovanna Granato ha voluto condividere con il pubblico una riflessione sulla sua traduzione raccontando che non è stato facile tradurre in una lingua che rimanesse ricca nella sua semplicità.
Massimo Bray ha tenuto una ricchissima lectio magistralis dal titolo “La cultura come resistenza e impegno civile”, ponendo un forte accento sull’opera dei padri fondatori della Costituzione Italiana. Un testo che, nella sua semplicità di linguaggio, può essere compreso da chiunque, al contrario della lingua altisonante e incomprensibile di cui spesso si serve la politica. Tanti i rimandi anche a Papa Francesco nell’esaltazione dei valori che sottolineano l’importanza della persona. Bray ha poi voluto spendere parole di grande impatto sulla scuola e sull’importanza del suo valore educativo ; una scuola vista come infrastruttura portante del paese e nella quale poter utilizzare consapevolmente le nuove tecnologie che possano rendere competitivi i nostri giovani senza spingerli ad allontanarsi dall’Italia e restituendo loro la dignità di lavori giustamente retribuiti.
Con grande emozione, durante l’ultimo incontro della giornata, Claudia Zonghetti, intervistata da Giulia Lanciotti, ci ha raccontato del “cuore strappato e riempito di inchiostro” di Nariné Abdarjan, scrittrice armena e autrice dello splendido romanzo E dal cielo caddero tre mele. Una narrazione che non si svolge in un tempo definito e con una precisa successione temporale, ma che comunque racchiude in sé tutti i più importanti eventi di questa terra ferita da guerre e da catastrofi naturali. La stessa scrittrice, trasferitasi a Mosca per studiare e dove è rimasta per alcuni anni svolgendo mansioni molto distanti dai suoi desideri e dalle sue reali abilità, porta nell’anima i segni del pathos della perdita, della nostalgia di casa, e trova nella scrittura in russo un filtro che le permette di distillare la lingua e i sentimenti. Ne risultano uno stile pulito che dà accesso al significato originale delle parole, una scrittura accattivante nella sua semplicità, in un’atmosfera che a tratti rimanda alla fiaba.